Prima di ritornare

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… nei nuovi giorni la vita si trasformerà cambiando colore, rendendo il dolore un punto di forza in tempeste di vento… (Nathalie)

 

Cagliari, perché mi sei ancora così dolorosa? C’è ancora una malinconia soffocante tutte le volte che faccio il biglietto, c’è una tristezza che mi trapassa da parte a parte, a te che devo gli anni della mia prima giovinezza. Una canzone si ripete ogni volta nel mio lettore mp3, ogni volta che aspetto di salire sull’aereo, ogni volta che faccio la valigia, ogni volta che mi sento sospesa tra il passato e il presente, tra l’Isola e il Veneto.

Perché? Perché mi sei ancora così dolorosa? Ho assegnato a ogni città in cui ho vissuto il suono di uno strumento, la mia vita è fatta di colonne sonore inespresse che suonano sotto pelle, che battono tachicardiche e sanguigne. Nuoro è un violoncello, vibra profondo nelle corde, Vicenza è un morbido flauto traverso, Cagliari un sassofono, un malinconico assolo che accompagna da Quartu tutto il litorale mentre tramonta sullo stagno il sole, e un volo accennato di fenicotteri, è un paesaggio notturno visto dal Bastione, un vicolo di Castello, un semaforo, un incrocio, è l’asse mediano, è l’uno, il cinque, il dieci, il tre, gli autobus che ho dovuto prendere più spesso.

La mia collega ha letto in anteprima la mia nuova raccolta, inviatemi le prove di stampa, e mi dice: «Sai, ti volevo chiedere… mi pare che Cagliari identifichi la tua malattia, che la città pesi di una grande sofferenza». Ci penso un attimo, mi sento smascherata, svelata, e allora rispondo: «Cagliari non è la mia malattia, Cagliari è il Centro, cioè, per capirci, è l’ospedale… è l’ospedale, sono stata parecchio in ospedale nella prima fase del mio percorso di malato, ora non ci vado praticamente mai, ma sì, Cagliari è quel mondo e i legami che per varie vicissitudini si sono spezzati».

La mia più cara amica cerca di consolarmi, mentre invoco la sua voce al telefono per avere un po’ di comprensione, per placare la mia angoscia. «Stefi, Cagliari è la città dove ti sei laureata, dove hai iniziato la tua convivenza con Matteo, dove hai vissuto tante cose meravigliose e hai conosciuto persone che ancora adesso fanno parte della tua vita» mi dice allora, «Lo so che quello che ti è capitato è pesante, ma tu hai fatto una scelta, hai voltato pagina, sei a Vicenza ora, la tua vita è lì, un’altra vita, diversa, se vieni a Cagliari lo fai per rivedere le persone e le cose più belle che hai lasciato, non farti schiacciare dal resto».

Perché? Perché mi sei ancora così dolorosa e non riesco a tagliare l’ultimo brandello d’insofferenza? Perché alla fine sento che resta qualcosa in sospeso e a volte ci sono cose che si risolvono con un abbraccio e le parole sono inutili, in questo la distanza materiale è complice indiscreta di una ferita che non si rimargina.

«Allora cara, io per il 12 maggio non voglio sentire cazzate, non ci sono esami, impegni vari, stronzate di nessun genere, il pomeriggio di sabato è sacro, la sera di sabato è sacra, dopo la presentazione aperitivo al Poetto e a cena si mangia pesce, portatemi dove volete voi, ma queste sono le condizioni» dico con il mio solito piglio militare, «Che abbia un bel ricordo da riportarmi in mezzo a questa nebbia». «Legittimo!» esclama la mia amica.

Già, legittimo. Ma allora perché, perché mi sei ancora così dolorosa? S.C.

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