La speranza è una cosa seria

Autore: | Pubblicato in Pensieri sparsi 2 Commenti

“Non sono uno scienziato che fa delle ricerche: sono uno scrittore. Quello che io dico (…) lo scrivo perché lo vivo: e, vivendolo, non posso vivere che l’attualità nel suo momento più attuale” P.P.Pasolini

L’altra sera, mi sono trovata a commentare criticamente, al gruppo vicentino, alcune pubblicazioni scientifiche positive sulla CCSVI, problematizzando il ruolo vascolare e facendo alcuni riferimenti a esperienze di mia conoscenza.

Alla fine della riunione una signora mi si è avvicinata dicendo “Sai, le tue parole mi hanno spento ogni speranza”. A quel punto, togliendomi gli occhiali da vista come per eliminare un filtro, ho asserito con decisione “la speranza è una cosa più seria e più nobile delle pubblicazioni scientifiche”.

In altre parole, è bene distinguere tra la categoria filosofica della speranza, che come l’utopia è un’entità astratta e superiore alla sfera del reale, che spinge l’azione verso un percorso da compiere al di là della raggiungibilità del fine, mentre l’aspettativa prevede già l’attesa del raggiungimento di un obiettivo: se l’obiettivo non viene dunque raggiunto, subentra la delusione.

Pertanto io non ho il potere di spegnere la speranza, perché essa è presente anche nel malato di cancro che lotta per vivere perfino quando tutto sembra perduto, posso al massimo spegnere delle aspettative e se questo è avvenuto, poiché più alto è il livello di aspettativa e più dolorosa sarà la caduta, ne sono ben felice. Quando nel linguaggio comune usiamo dire “false speranze”, facciamo dunque involontariamente un errore terminologico.

Se la verità è per me un valore assoluto, la scienza medica riesce a darci soltanto una pluralità di verità relative, così che il neurologo riporta al paziente la pubblicazione che meglio appoggia la sua ipotesi, scartando tutte le altre che la negano.

Abituata a studiare trattati filosofici, le pubblicazioni scientifiche mi colpiscono per la banalità, poiché tendono a voler semplificare la realtà con dati empirici e statistiche, mentre la filosofia fa l’opposto, in altre parole problematizza il reale. Fatto dunque lo sforzo di imparare alcuni meccanismi del corpo umano e una terminologia specifica, cade ogni difficoltà.

All’ultima visita ho commentato al mio neurologo “mi pare che il vostro lavoro consista nell’attestare delle ovvietà, stai male/non stai male”. È una di quelle brutali verità che si dicono sorridendo.

Tra il ricercatore, o scienziato, e il medico c’è una distinzione netta, perché l’organismo umano non reagisce mai come racconta lo studio pubblicato: esiste un solco tra realtà scientifica e realtà materiale. Se le pubblicazioni scientifiche sono semplici, complessa invece ne è quindi l’applicazione.

Nella storia dell’umanità, è accaduto più volte che lo scienziato si sia fatto anche filosofo, pensiamo a Galileo Galilei o allo stesso Ippocrate, poiché la fisica è insufficiente e ha bisogno della metafisica e viceversa. Di fronte al più volte citato “effetto placebo”, ripercorro filosoficamente la “Fenomenologia della percezione”, ma queste sono le riflessioni personali di un’appassionata di filosofia, di una che dà molto peso al linguaggio e a tutto ciò che ne deriva.

S.C.

Comments
  1. Posted by Matteo
  2. Posted by Stefania

Add Your Comment