Lettere dal Nord-Est

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Carissima L.,

in questo agosto berico la città si svuota, il mais è alto nei campi; la sera ti rinfreschi con uno spritz alla fragola e l’autunno non sembra lontano per questi accenni uggiosi, raffiche di vento improvvise che cambiano il tempo. Manchi solo tu, il gusto cinico con cui analizziamo le cose, quei sorrisi stiracchiati tra tante atrocità del mondo.

Mi dicono che sono cambiata, ma non è esatto, è come mi hai detto quel giorno, sedute davanti a un caffè, “stai ritornando ad essere tu”. La verità si dispiega tra tante righe abbandonate temporaneamente, lasciate maturare nell’archivio fino a prossima pubblicazione, non so ancora se sia un racconto o un romanzo breve. È certamente un diario, una testimonianza umana che tratteggia un prima e un dopo, l’impossibilità di dimenticare, l’intensità del presente.

Scrivo, nell’ultimo capitolo: “Dal terrazzo mi abbandono a una serenità nuova, piana, di campi di mais e biciclette, di passeggiate lungo il corso e portici, scorci da tavolozza e pennello, ponticelli di legno, ghiaia di fiume. Non ci sono aghi, braccia doloranti, afa per nove mesi l’anno, giornate perse su scomode poltrone senza bere e senza mangiare, con il braccio teso alla chimica, io non ho più la pazienza per il martirio! Nelle cartelle cliniche non c’è tutta la vita che hai perso per imparare soltanto che non deve accadere mai più. Nelle pubblicazioni scientifiche non c’è scritto che saranno gli effetti collaterali a pesarti di più per tutta la vita, come un sasso su ogni tuo entusiasmo e speranza.

Sono stata diligente, non si può negare, ma evidentemente la strategia era perdente e ho scelto altre armi, altre tattiche; non mi si può condannare per aver scelto di dare significato alla vita, di non depennarla, giorno per giorno, come le date della mia agenda”.

È sempre la stessa storia che si ripete: stanca di essere un paziente, ho iniziato ad essere una persona. E questo mi ha restituito anche quella personalità inebetita dai farmaci e da quel ruolo subalterno che per tutto il mio percorso psicoterapeutico ha rappresentato il centro del discorso.

Dunque, quando verrai a Vicenza, non vedrai soltanto una nuova città, ma anche una nuova Stefania, quella che hai conosciuto al liceo, con un po’ di sicurezza ed autostima in più, con un’intransigenza affinata, con una serena maturità, sempre irreprensibile nell’etica, con quel linguaggio da caserma, perché l’interlocutore non si senta mai in imbarazzo, perché non appaia, la mia cultura, uno sfoggio di vanità. C’è uno spazio per tutto.

Il problema è trovare il proprio, forse l’ho trovato.

Un forte abbraccio, ci vediamo a settembre

Stefania

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