Sotto la Mole (1)

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Andrebbe ulteriormente approfondito il tema del Gramsci critico teatrale e del costume, ovvero quel Gramsci che troviamo nelle pagine dell’Avanti!, con la sua rubrica Sotto la Mole, e che ci porterebbe ad ulteriori digressioni, allontanandoci dal racconto storico e d’attività giornalistica. Non mi soffermerò più del dovuto, ma certo sarebbe una grave mancanza non ricordare quell’approccio polemico e critico verso le “tendenze modaiole” della borghesia torinese.

S.C. Dalla mia Tesi di Laurea Specialistica

 

«È in arrivo al binario 2 il treno freccia bianca proveniente da Venezia S. Lucia e diretto a Torino Porta Nuova. Le prossime fermate sono: Verona Porta Nuova, Desenzano, Brescia, Milano Centrale, Novara, Vercelli, Torino Porta Susa, Torino Porta Nuova. Allontanarsi dalla linea gialla».

L’alto parlante della stazione di Vicenza ci richiama, esortandoci alla cautela, mentre ci affrettiamo a prepararci a salire: è il mio treno.

 

Non so cosa mi continui a riportare a Torino, quale legame atavico mi ricongiunga alla capitale sabauda: fu in quella città che Gramsci imparò “le cose di Marx”, lo stesso Gramsci che per tutta la mia vita ha rappresentato un faro, la luce che illumina le mie scelte quotidiane, i cui scritti portavo sotto braccio per tutta la mia adolescenza e oltre; in quella Torino ho soggiornato per ragioni di salute, in quella Torino mi ritrovo a venire ancora per il lavoro.

Sono stata assunta alla Ferrero s.p.a., la cui sede centrale amministrativa si trova a Pino torinese, mentre quella produttiva ad Alba. Mi aspettano le visite di routine in quel di Torino e successiva a Pino torinese.

 

Adoro viaggiare in treno, ne approfitto per raccogliere materiale umano da penna, osservo, seduta nella mia comoda poltrona, accanto al finestrino, scruto la pianura padana dispiegarsi in un succedersi di campi e capannoni. Di fronte a me c’è una signora che dai tratti mi pare essere piemontese, mentre a Verona sopraggiungono un’altra donna che mi pare invece lombarda e un anziano professore che sfoglia per tutto il tempo una rivista di storia antica sulla quale sbircio. Dall’altro lato, una giovane continua a fare degli schizzi su un bloc-notes, sono fumetti, dev’essere una studentessa dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, penso allora. Scopro di avere intuito giusto, la prima signora scenderà a Torino, la seconda a Milano.

Sono ospitata affettuosamente dall’associazione L’Abbraccio di Torino per la notte. Solo l’indomani percorrerò tutta la città con il taxi, sciorinando alla povera autista un po’ di storia dell’arte per ricongiungere Torino a Cagliari: non ce l’ho fatta a star zitta di fronte ai lunghi e maestosi viali alberati torinesi, brutta razza gli appassionati di storia, rischiamo sempre di finire per essere logorroici e a volte fuori luogo. La bella tassista pare però apprezzare la conversazione e mi lascia con un “in bocca al lupo” per l’assunzione.

È dal medico del lavoro che conosco Valentin, un collega di San Benedetto del Tronto, venuto a Torino per lo stesso motivo. Valentin è rumeno, ma vive in Italia da più di vent’anni, ha moglie e figlie, è un uomo realizzato, soddisfatto della sua vita. Non so cosa ci sia in me per cui finisco per essere l’ascoltatrice privilegiata della storia di ognuno, forse è la mia propensione all’ascolto: Valentin mi racconta della sua fuga dalla Romania, in effetti, non siamo molto diversi, conveniamo a un certo punto, lui è partito con un sogno di libertà in valigia e anche io, se pur in maniera diversa, ho fatto lo stesso, ma la mia dittatura è invisibile, è un filo spinato fatto d’acqua salata, una regione chiusa dove non c’è via d’uscita dalla tua condizione di partenza perché “i posti sono già prenotati e gli altri restano in piedi”. Mi dice che vorrebbe raccontare e pubblicare la sua storia, così mi offro per le correzioni. Da quando vivo in Veneto, non mi sono mai sentita tanto vicina a ogni migrante perché le storie sono diverse, eppure sempre uguali. S.C.

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