Progresso e/è Lavoro

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Il progresso può fare a meno dei diritti dei lavoratori?

Lo “Statuto dei lavoratori” come punto di non ritorno

“Crisi è quel momento in cui il vecchio muore

e il nuovo stenta a nascere” 

Antonio Gramsci

 

Per il lavoro!

Per il lavoro!

Quando l’intero sistema economico e produttivo entra in crisi, come in questo periodo,  è il mondo del lavoro che viene richiamato, spesso persino additato come la principale causa del declino, tralasciando magari la speculazione finanziaria, che in questi anni ha spaventosamente pervaso i mercati.

Sono i lavoratori, di volta in volta, a pagare le distorsioni del Mercato, perché il Capitale si ricicla, lasciando morti e feriti sul campo: li definiscono effetti collaterali del modo di produzione che cambia.

Appare dunque, francamente penoso che i professori, i geni della finanza e dell’economia, che dalla cattedra sentenziano sul mondo del lavoro che dimostrano di non conoscere, non trovino altra via d’uscita, altra soluzione, altra alternativa  alla stagnazione, che il vecchio, datato e misero metodo del “tiro al lavoratore”, troppo pigro, troppo rigido, troppo vecchio o troppo giovane, troppo viziato, laddove i diritti storicamente acquisiti diventano vizi non più accettabili in tempi di vacche magre.

Vecchi metodi per nuove sfide, inadeguati di fronte a passaggi epocali come quello che stiamo vivendo: il modello industrialista ripiega su altri lidi, lasciando sul territorio l’ombra funesta della sua barbarie desertificante e inquinante.

Il “piccolo mondo antico” della classe dirigente italiana  non è capace che di relegare la questione alla messa in discussione dei diritti dei lavoratori, che la Storia ha definitivamente imposto come punto di non ritorno: non possiamo desistere, non possiamo tornare indietro.

Quando nel 1970 la L. 300 fu approvata con la denominazione “Statuto dei lavoratori”, pietra miliare della nostra giurisprudenza, il “Movimento operaio” aveva già da tempo  raggiunto la sua piena maturità. Una coscienza che diveniva nazionale, già dal Secondo Dopoguerra, sullo sfondo della Carta costituzionale che sanciva il Lavoro come elemento fondante della Repubblica e come diritto.

Qualcuno nel frattempo lo ha dimenticato, ma il Progresso di una Civiltà si determina necessariamente su irremovibili punti cardine, dai quali non è possibile alcuna regressione: il futuro non può fare a meno dei diritti dei lavoratori, per i quali si è già speso, lottato, conquistato con le unghie e con i denti. Da essi non dobbiamo, non possiamo prescindere. S.C.

 

“Voi condurrete l’Italia alla rovina

a noi comunisti toccherà di salvarla”

Antonio Gramsci

PS: questo è il mio contributro alla fanzine che è stata distribuita nel vicentino in occasione della raccolta firme per il Referendum sull’articolo 18 [qui tutte le specifiche]. Quando la Fornero ci ha definito troppo “choosy” nella ricerca del primo impiego, ho ripensato a tutte le volte che l’addetto al personale o l’impiegato dell’agenzia interinale di sorta mi ha incalzato dicendo: “ma come mai ha risposto a quest’annuncio con un bel curriculum come il suo? Dovrebbe puntare a qualcosa di più”. Ovviamente mai assunta, ovviamente sempre troppo qualificata o troppo poco. Così all’ennesima esternazione di quel genere ho risposto decisamente seccata: “perché mangio tutti i giorni”. Per occuparsi del mondo del lavoro, bisognerebbe conoscerlo, bisognerebbe rendersi conto che se il mondo della produzione in Italia è fatto di piccole e medie imprese che hanno bisogno di braccia, ma non di teste, per cui la laurea la puoi lasciare appesa al muro come souvenir, che tirano a campare senza investire nulla sull’innovazione e la ricerca, per cui si sopravvive grazie al sommerso e all’evasione, mentre il costo del lavoro diventa sempre più insostenibile, allora è giusto che la Cina ci schiacci.

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