Capitalismi: modelli a confronto (1)

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Le cattedrali nel deserto della Sardegna e i distretti del Nord-Est (prima parte)

incendio

Spesso si lascia in pace chi ha appiccato l’incendio e si castiga chi ha dato l’allarme – Nicolas de Chamfort

 

Percorrere la Gallura è agghiacciante: chilometri di terre incolte, lasciate alla mano deturpatrice dei piromani, dolosa o meno, all’incuria o, peggio ancora, all’abbandono, come ogni cosa in questa terra per lo più disabitata, dove solo il coraggio dei caprai storicamente ha lasciato il suo deposito di fatiche. E poi la mutilazione, lacerante svendita di costa, cementificazione, speculazione edilizia.

Non esiste una mezza misura per i sardi, o Costa Smeralda, con l’accento padano e il prato inglese, i campi da golf e gli yacht in porto, o nulla. Nulla per dire nulla, perché si scambia l’ecosostenibilità con l’inerzia, la pigrizia, l’assoluta incapacità di investire su un turismo a misura d’uomo e rispettoso del territorio. Ma ecosostenibilità è soprattutto accessibilità, rispetto della differenza, non solo della flora e della fauna, geologica e climatica, ma soprattutto umana.

Esiste questa possibilità? Sì, esiste, e la Sardegna arriverà per ultima, morendo di stenti con la complicità della sua classe politica.

A questo si aggiunge il problema dell’insularità, che ancora nel 2012 non ha trovato soluzione, costringendo la Sardegna a un isolamento strisciante, di merci e di persone, mentre la crisi allontana sempre più lo sviluppo, fisicamente, perché inidoneo ad attraversare il mare: i costi restano ancora e sempre troppo alti. Da Roma, un silenzio aberrante.

Sprazzi di produzione agricola se ne vedono solo in Campidano, l’artigianato, spesso lasciato alla sciatteria e all’ignoranza, non è in grado di decollare. I sardi si rivelano sempre incapaci di creare forme di solidarietà sul lavoro, con ancora troppo rare cooperative e altri modelli di rete economica che possano dare una spinta evolutiva di una società intera: “Sei ancora quello della pietra e della fionda”, scriveva Quasimodo, o meglio, caro sardo, sei sempre quello del muretto a secco e del coltello a serramanico, che dirime le controversie con le bombe, che frena la diversità e la novità con le bombe e se non c’è violenza, c’è passività, invidia, disprezzo dell’altrui fatica.

Le Università sono poltrone per un vecchio sistema clientelare, quella visione crociana, ottocentesca del sapere, che non ha materia prima per dare allo studente un futuro credibile e tangibile, ma solo cartaccia, sudata di nozionismo.

Potrei tirare fuori volumi di parole sulla questione meridionale e sulla questione sarda, tornare alla radice delle cose, di quel capitale che si concentra e torna laddove c’è già capitale, potrei trovarvi mille giustificazioni, cari sardi, ma voi potevate e non avete voluto, voi avete scelto la vostra condizione perché siete stati servi, perché siete stati impotenti. L’indipendentismo che torna in auge è la testimonianza più palese della vostra sconfitta, laddove il forte autonomismo dell’isola ci dava tutto il potere di ergere un nuovo modello. Siete stati schiavi, avete votato degli schiavi. Potevate, ma non avete voluto cercare, con le nostre braccia e le nostre intelligenze, di costruire un’altra idea di sviluppo. Potevate, ma non avete voluto, avete abbracciato la tesi industrialista che ha avvelenato il nostro mare e la nostra terra, con cattedrali nel deserto, messe là a ricordarci la nostra pochezza di spirito, che finiti i finanziamenti statali, la manna del capitalismo italiano, fatto di una borghesia pavida e miope, ha sbaraccato tutto.

Questo j’accuse, per così dire, vuole avere un valore di riscossa: non uso le carezze e le pacche sulle spalle, c’è più amore a volte in chi castiga, tirando fuori origini storiche e colonialismi a metà, con cui troppo spesso si giustificano le nefandezze che in realtà portano cognomi sardi. Vi dirò che la colpa è vostra, anche di tutti i figli di Sardegna come me, che sono ancora costretti a migrare, vi dirò che non avete saputo accogliere, quando era necessario, che non avete saputo investire in voi stessi, che non avete costruito perché dovevate consumare il presente, a tal punto che non è rimasto futuro.

Dirò che voi potevate e non avete voluto.

 

Stefania Calledda, una sarda

Continua (…)

 

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