Sul tetto del mondo

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Altitudini

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L’enrosadira

Apenrosa_by_Freddy_Planinschek

L’Apenrosa – Corvara, Alta Badia (BZ)

Prosecco rosé, menta, ghiaccio, sciroppo di sambuca, soda: è l’Apenrosa, l’aperitivo che prende il nome dall’evento per il quale siamo seduti sulla terrazza de “La taverna” di Corvara, mentre al piano s’intona “Impressioni di settembre”. Ma è luglio, e stasera si brinda al tramonto, ammirando l’enrosadira, il fenomeno per cui le cime solitamente biancastre delle Dolomiti arrossiscono al calar del sole, uno spettacolo che da solo vale questo viaggio.
Sono cresciuta imparando i suoni e i sapori del bosco, cogliendo more e corbezzoli lungo sentieri contadini, ferrovie mute, latrati lontani di cani che sorvegliano greggi, piegando la schiena per cercare nocciole e castagne. Se mi soffermo, posso sentirle rimescolare nella padella con uno strattone e un gioco preciso del polso, il loro crepitare al fuoco vivo. La mia montagna è una finestra che si apre sul Texile, vette innevate che vedo dal terrazzo di casa, le luci di Oliena ai piedi del Corrasi, se passeggio lungo La Solitudine.
Un barbaricino senza montagna è come un marinaio senza porto, senza orizzonti d’acqua salata, senza rive, senza approdi e senza meta. Per questo, superato Vittorio Veneto verso Belluno, mi sembra di tornare a casa, perché per quanto i paesaggi si aprano davanti a me così diversi, si sale, e l’aria si fa più secca, il vento più pungente e verde, foreste imponenti si stagliano, interrotte soltanto dalla mano dell’uomo, dalle sue ferite d’asfalto.
Io vengo dalla montagna” ho scritto una volta, ed eccomi qui, a molti metri più su di quanto l’isola mi possa offrire, con un cappello da escursionista e i miei bastoncini per il Nordic Walking, il telo da picnic, l’entusiasmo di Heidi che torna dalle sue caprette.

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Erto – Diga del Vajont

Non per incuria, ma per colpa
Centinaia di fazzoletti colorati s’agitano al vento, lungo il parapetto di legno che percorre il precipizio fino alla diga, il mostro di cemento che chiude l’enorme voragine tra le sponde della montagna: sono i bambini di Longarone, e saliti verso Erto, ci fermiamo, per il nostro pellegrinaggio civile, sulla famosa Diga del Vajont. È un luogo di silenzio, il dolore frana allo sventolare delle bandierine bianche, i bambini mai nati.
Ancora una volta l’arroganza degli uomini, la dirompenza della natura, la catastrofe, l’atroce epilogo. La rabbia degli impotenti, sulle lastre e sui manifesti di chi resta, per non dimenticare, perché mai più accada, perché morirono “non per incuria, ma per colpa”. E dal Vajont senti l’eco della guerra, da Gaza fino a Erto, ancora una volta l’innocenza di fa strage.
Restiamo umani.

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Dolomiti – Cadore

Il popolo della Montagna – imparare dal Trentino Alto-Adige
Chilometri di parco naturale, il sottobosco è ben curato, pulito, i ruscelli s’insinuano saltando in piccole cascate, tra i sassi bianchi, in dieci giorni di vacanza tra queste montagne, ho visto solo due camionette della Forestale, niente è lasciato incolto, i pascoli, con il loro verde lussureggiante, appaiono manti di velluto in cui allevamenti di caprioli, cervi, mucche pezzate e cavalli, placidamente si alimentano. I conigli e le anatre vivono in piccole oasi, i pony si lasciano accarezzare senza troppe remore, conoscono la mano dell’uomo, si sono abituati a una pacifica convivenza dove può certo capitare di essere la vittima prescelta della catena alimentare, ma la vita contadina è anche questo, un continuo alternarsi di amore e crudeltà, di neve e fame, di raccolti e di caccia, di sangue e latte caldo. Per la Val Gardena, enormi cartelli con scoiattoli con le cuffie invitano a fare silenzio: è il vento che deve parlare, lo scrosciare del Pisciadù, quando siamo già in Val Badia.
Erano austriaci, ladini sotto l’Impero, che solo la Grande Guerra ha imposto tricolore. Per questo ogni cosa, dal menù ai cartelli stradali, è esposta in tre lingue, il tedesco, il ladino e l’italiano. Una volta abbiamo deciso di ascoltare un concerto di musica classica, beh, la presentazione è stata quasi più lunga del concerto perché immancabilmente si è presentato in tutte le tre lingue. Gli abitanti di queste valli passano dal tedesco all’italiano con una facilità impressionante e invidiabile, le antiche radici ladine sono portate con orgoglio e non manca occasione per rivendicarle. Esiste un canale Rai totalmente in ladino che si può vedere solo nella provincia di Bolzano, la loro diversità è ogni giorno fonte di ricchezza materiale e culturale.

Dalla mia terrazza - La Villa

La Villa, dal terrazzo del mio appartamento

Il popolo della montagna non ha interesse per la moda e la mondanità, veste con calze grosse e scarponi da escursionismo, pantaloncini e magliette che per il lungo camminare sono sudate e macchiate d’erba a volte, si passeggia per i paesi con i bastoni e gli zaini, a pranzo e a cena si parla di quello che si è riusciti a vedere da quella o quell’altra vetta, della fatica e della pioggia improvvisa, del sole che picchia. E poi del cibo, così diverso per noi gente di pianura, di come lo speck si scioglie in bocca, delle tante varietà di pane, dei dolci austriaci, così calorici, ma così imperdibilmente straordinari.
Questi luoghi ti restituiscono una serenità tale, per quel silenzio e quella lentezza ritrovata, che ti pare di rinascere, è una sensazione di benessere che ti pervade, lontano dall’umidità padana e dallo stress dell’incessante divenire della vita produttiva. Amo queste montagne, queste valli, alzarmi la mattina e fare colazione in terrazza e tra un sorso e l’altro del cappuccino, estasiarmi di tanta bellezza, respirarla ovunque io ponga lo sguardo.
Sono sarda, la bellezza naturale non mi è mai mancata, ma le Dolomiti, nella loro unicità, restano uno dei luoghi più belli al mondo, che ti rimangono dentro come un’esperienza umana tra le più importanti e meravigliose di una vita intera. Ci tornerò, ne sono certa.

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Aperitivo a “La Tradiziun”, specialità tipiche tirolesi (La Villa, BZ)

E poi ti capita di arrabbiarti pensando “perché noi no?”, “perché in Sardegna no?”. Nell’Alto Adige si costruisce nel pieno rispetto dell’ambiente e della cultura locale, non esistono costruzioni che fanno a pugni con il paesaggio, non si appiccano incendi a ogni soffio di vento, s’investe nel turismo perché è la manna di questo territorio, facendo della propria storia e della propria tradizione una forza arricchente per gli abitanti come per i turisti. Non che questo non accada anche in Sardegna, ma in maniera più sciatta e improvvisata. Quello che vedi in Trentino è un progetto, una pianificazione che è soprattutto futuro, più che un passato svenduto, un’attenzione alla persona, che non è solo parassitismo stagionale.
Accade perciò che siti internet, applicazioni per smartphone, punti informativi ben segnalati, ti aprano un mondo, più che darti qualche notizia o qualche depliant, tenendoti costantemente in contatto con iniziative, musei e altre mete culturali e del divertimento offerte in tutto il Trentino Alto Adige. Troppo spesso mi sono sentita dire da turisti veneti nell’isola di non saper cosa fare, dove andare, di trovare personale impreparato e svogliato per siti archeologici, o di trovare locali chiusi, inaccessibili. In periodo di crisi economica abbiamo anche l’indecenza di non avere un piano turistico serio per la Sardegna, di lasciare alla buona creanza dei privati, che spesso non hanno alcuna preparazione sul tema, né idea di quale approccio ai servizi è necessario offrire.
L’attenzione alle famiglie e alle persone disabili, nell’Alto Adige, ha molto da insegnare ai nostri operatori turistici. Pensiamo ad esempio ai percorsi naturali: esistono tre modi diversi di offrire agli appassionati del genere, la possibilità di entrare a contatto con la natura: le passeggiate, accessibili a persone in carrozzina o mamme con il passeggino, ad anziani o semplicemente a chi non ha voglia di fare camminate troppo lunghe e accidentate, gli itinerari escursionistici per amatori più allenati, e le strade ferrate, per esperti alpinisti. Ora, sarà pure bello il Supramonte, ma offre tutto questo? Dove troviamo segnalati tutti i percorsi possibili? Abbiamo cartine, cartelloni, app per lo smartphone, siti che danno consigli a coloro che hanno intenzione di visitare le nostre campagne e guide esperte? Nella maggior parte dei casi la conoscenza della campagna sarda è lasciata ai soli pastori e alla criminalità, lo sfruttamento delle risorse naturali ai piromani e ai tanti che in Sardegna vivono di assistenzialismo, perché se non riconosciamo tutto questo, cari sardi, enumerando soltanto le meraviglie che offre la Sardegna laddove però l’uomo non ha fatto nulla, allora dalla miseria e dal sottosviluppo non si uscirà mai. Citare nicchie virtuose non toglie l’assenza di un piano generale di salvaguardia ambientale e culturale che investa nelle ricchezze paesaggistiche, tutelando le comunità e le loro radici.
Perché il Trentino ci riesce e la Sardegna no? Potrei fare analisi delle condizioni materiali, storiche ed economiche, ma abbiate pazienza, a volte prevale la rabbia.

Al Maso
Cenare in un tipico maso ladino: abbiamo trovato il posto che cercavamo, ed eccoci in una stube, la camera dove si svolge la vita dei ladini, all’interno della casa, che prende il nome della stufa a legna che riscalda l’ambiente domestico. Dopo aver visitato il museo ladino, cogliamo ogni particolare che con efficacia ricostruisce lo storico contesto.
Con tedesca puntualità, alle 19.30 si inizia a mangiare quello che la famiglia ha preparato per gli ospiti: una serie di portate caratteristiche si susseguono, bagnate dal vino e allietata da una giovane e simpatica coppia umbra che siede al nostro tavolo. I ragazzi sono colpiti dalla nostra preparazione in fatto di casa ladina. Spieghiamo di essere arrivati freschi dalla visita al museo ladino.
Era importante per me andarci, per la mia totale ignoranza nei confronti di questo popolo, per il quale iniziavo a simpatizzare, da quando l’anziano pasticciere del forno locale, timido e delicato, con uno spiccato accento tedesco si era rivolto a noi, dopo la colazione, con un: “andafa tuto bene?”. Adorabile.

Ponti e trincee
Passo Falzarego, un forte austriaco, conquistato poi dai soldati italiani, è il museo della Grande Guerra. Ogni cosa, su queste montagne, porta l’eco delle cannonate, lo scintillare delle baionette, i fossi sono mine saltate, trincee, tunnel crollati. A nominare le vette, le valli, i colli, si evocano battaglie. Sul Col di Lana morirono 9000 soldati italiani e altrettanti sull’altro fronte, è scoperchiato dalle mine, un baratro si sangue per ricordarci “l’inutile strage”. Penso che ho abitato per tanti anni a Cagliari in Via Col di Lana, so che quel giorno lo vedrò.
A Corvara una mostra fotografica mi scopre straniera: quassù s’indossava la divisa austriaca, i morti hanno nomi tedeschi, i vessilli inneggiano al grande Impero. Come italiano mi sento per la prima volta uno scomodo conquistatore, proprio io che da sarda appartengo a un popolo di conquistati, ma noi l’Italia, questa è la verità storica, l’abbiamo scelta, i ladini, da sempre tedeschi, per quanto per secoli abbiano intessuto legami commerciali con la Pianura Padana e la Serenissima, no.
È un ponte che da sarda mi unisce a questa terra, la sensazione di appartenere a uno dei tanti popoli dominati, che, in qualche modo, resistono alle ragioni del potere. In questo viaggio, ho portato con me gli studi su Lussu, al puzzle aggiungo pezzi.

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Io sul Lagazuoi

Sul tetto del mondo

Sul Lagazuoi ci si arriva con una cabinovia da passo Falzarego. Il resto lo devi fare a piedi, c’è persino chi, sprezzante dell’altezza, a piedi si fa tutta la salita, ma, come dire, non era il caso di esagerare. Sono risoluta, devo superare i 2900 metri, devo arrivare al punto in cui mi è permesso vedere i massicci che ci circondano, è la mia sfida, è il senso di questo viaggio, perché ogni viaggio, che ne siamo coscienti o meno, ha un senso.
E allora eccomi, un passo dopo l’altro, per ogni passo che non potrò fare più, vaffanculo sclerosi multipla, mi dico, e ogni metro guadagnato è quel metro che non riuscirò a fare, vaffanculo sclerosi multipla, per tutte le cose che mi hai tolto e che ho perso, per quello che mi toglierai e che perderò, questo non me lo toglierai, non lo perderò, per sempre resterà questo ricordo di neve, a tratti, lungo il selciato, questa brezza fresca, e questo paesaggio irripetibile, e il manto verde del Col di Lana, il monte Sella, la Marmolada e il Civetta, vette sopra i 3000 metri. Si può salire ancora, ma è troppo pericoloso per me, lascio andare Matteo, mi siedo su un sasso e gli dico “Va bene così”. Ho le mani che tremano e la commozione negli occhi, ci sono vette molto più alte, ma che importa, io arrivo fin qui e per me è come stare sul tetto del mondo, un’emozione unica che forse non ripeterò. Sì, questo per me è il tetto del mondo, sono sul tetto del mondo, vaffanculo sclerosi multipla!

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