A forza di vento …

Di ogni mia battaglia mi resta
un gomitolo di fumo.
Stefania Calledda, dicembre 2012

 

Carissima E.,

siamo in pausa pranzo. Ho già mangiato e ora ti rispondo perché il nostro carteggio mi attenua la tristezza che silenziosamente mi porto addosso. Sai, ho in mente un racconto, ho tante parole in testa, una trama, ma qui non potrei scriverlo, scrivere è un esercizio della mente molto faticoso e non potrei continuare il mio lavoro. Lo scriverò più avanti, quando avrò terminato di raccontare del mio viaggio oltre il Po, e finché non troverò il modo di farlo, questa trama mi perseguiterà e passerò il tempo a pensare alle parole, alla punteggiatura, da che parte cominciare, come chiudere, che titolo usare.

Lunedì scorso, dopo ben due anni, ho fatto una risonanza magnetica. È quando entri in una di queste macchine di così avanzata tecnologia (è operativa da ottobre), ampia e leggera, accolta da un personale di estrema professionalità e cortesia, con il tuo attrezzato spogliatoio, il camice pulito e le cuffie per non sentire i fastidiosi rumori, l’ago cannula ultimo modello e un’infermiera che non fa una piega, nonostante le tue vene invisibili, che ti sovviene il pensiero: “Perché per i pazienti sardi no? Perché i pazienti sardi devono soffrire di più? Perché?”. Quando cala una specie di griglia bianca sulla tua testa, pensi di essere in uno shuttle e ti pare di sentire: “Spazio, ultima frontiera”.

Inaspettato così ti giunge, all’uscita, la deliziosa voce dell’infermiera, alla maniera tutta vicentina, che ti dice “tanti auguri sai”. Ringrazio in tutte le lingue, quasi imbarazzata, perché ancora non mi sono abituata a questa vostra dolcezza berica che mi accompagna le giornate: ecco, l’atteggiamento scostante e la ruvidezza di noi sardi non mi manca per niente.

Qual è il mio spirito nell’affrontare questi esami e queste visite? Di assoluta rassegnazione, un qualcosa che devo fare perché non mi si dica poi “se avessi fatto” questo o quello. Non sono arrabbiata, il tempo in cui dici di “combattere” la malattia è finito, ci ho passato tutta la prima giovinezza, ora penso soltanto a vivere e a convivere anche con la malattia. La speranza è una fiammella timida e delicata, a forza di vento si spegne, ma arrendersi è un’altra cosa, impari a costruire nuovi modi di guardare alla tua esistenza, all’esistenza, impari a cercare strategie diverse perché la scienza non è mai abbastanza e da sempre ho cercato di riprendermi la dimensione umana delle cose, forse perché in quella scienza non ho mai creduto.

Sì cara, la parola esatta è “resilienza”, dici bene, e, come m’insegni, vale sempre il principio “per ardua surgo”.

 

Buona giornata e buon lavoro,

Stefania

 

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