La vita viene prima (3)

“strumento unico per alcuni dei nuovi obiettivi della medicina è la capacità di gestire consapevolmente la comunicazione e la relazione con il paziente”
Egidio A. Moja

Mi scrive Laura (nome di fantasia). Con sconcerto mi racconta di come la sua neurologa voglia decidere della possibilità per lei di avere dei figli, quando si debba programmare la gravidanza. Si sente offesa da questa ingerenza, mi riporta disgustata le parole del suo medico “Se proprio vuole, le do tempo tre mesi, poi riprendiamo il farmaco”. Continua spiegandomi che la maternità non è uno yogurt a cui metti la scadenza.
Queste vite appese a farmaci che appena scalfiranno l’intero percorso che ci attende, perché non esistono terapie efficaci o meno, ma diverse forme di sclerosi multipla, costituiscono la vergogna dell’intero sistema. Programmare una maternità, che dovrebbe essere un momento di gioia e non di ansia, per non interrompere un farmaco che non la mantiene in vita, ma influisce ben poco, è qualcosa di allucinante e la cosa è così entrata nella prassi che non ci si rende conto della follia!
Porca miseria, ma davvero scambiamo un figlio con un paio di ricadute in meno? Ma dove sta il buon senso? A che punto siamo arrivati?
Le chiedo quale sia stata la sua reazione, esattamente chiedo quale sia stata la parolaccia o l’insulto prescelto. Mi dice che ha semplicemente cambiato parrocchia e stavolta è entrata in ambulatorio imponendo subito la sua scelta: la vita viene prima.
Laura ha partorito di recente, la vedo nelle foto sorridere con il suo bebè.
Purtroppo ogni tanto questi medici si ammalano della peggiore delle sindromi: pensano di assumere le sembianze del Padre Eterno.
Se ne facciano una ragione, i pazienti stanno imparando che la vita viene prima anche della loro megalomania. S.C.

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