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Nel nuovo millennio ha ancora senso la caccia?*

di Stefania Calledda

L’attività venatoria è oggi considerata, dalla legislazione italiana, un diritto di alcune categorie di cittadini: queste devono possedere diversi requisiti che prevedono sicuramente una buona conoscenza della normativa, in particolare sulle distanze di sicurezza minime. La caccia in Italia è regolata dalla legge n. 157/92 “Norme per la protezione della fauna omeoterma e prelievo venatorio”, che rappresenta la legge quadro di disciplina di tutta la materia e di tutela della fauna selvatica.

Per chi vive in campagna però, spesso la caccia è fonte di pericolo, a volte con conseguenze drammatiche. L’unica difesa per il cittadino è la possibilità di ottenere un’ordinanza comunale di divieto, sulla base di un esposto contro ignoti, da presentare presso gli organi competenti (Carabinieri, Guardia Forestale, Polizia Provinciale, Vigili Urbani). Infatti, spesso i cacciatori finiscono per violare le norme poiché si avvicinano troppo alle case e alle strade, o ancora, disturbano la quiete, oltre agli episodi di bracconaggio non permessi.

L’attività venatoria è anche fonte di danno ambientale: ogni anno si riversano sul territorio diverse tonnellate di velenosissimo piombo, il cui accumulo sul fondo dei laghi, stagni e acquitrini, provoca negli animali il saturnismo, una grave intossicazione, pericolosa per gli animali e per chi se ne ciba.

Per non parlare poi dei danni perpetrati all’attività agricola, che deve subire i cosiddetti “ripopolamenti”, cioè l’introduzione deliberata di selvaggina sul territorio, con probabile danno ai coltivi. Altro che cacciatori alleati degli agricoltori!

Ci chiediamo dunque se la caccia ha ancora un senso nel nuovo millennio, visto il puro scopo ludico: ogni anno, 100 milioni di animali vengono uccisi per divertimento.

Ma noi ci divertiamo molto meno.

*MicioMagazine nr 9

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