Improbabili monologhi

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“Io sono una selva e una notte di alberi scuri, ma chi non ha paura delle mie tenebre troverà anche pendii di rose sotto i miei cipressi.” Friedrich Wilhelm Nietzsche

“Io ero il soldato semplice con le mostrine sgualcite, il tremore delle mani sul calcio del fucile, io ero così poco preparata a farmi sparare dal fuoco amico.” Dal mio diario

 

Mentre rileggevo alcune mie pubblicazioni degli anni scorsi, con l’intenzione di renderle scaricabili nel mio sito personale, attualmente in fase d’aggiornamento, mi sono sorpresa diverse volte di me stessa e ne ho tratto alcune riflessioni.

Mi piace molto la Stefania che ero, trovo nelle sue parole un approccio energico e combattivo alla vita, un velo d’ottimismo, una grande capacità di trascinamento, fondando l’azione e la praxis sulla responsabilità individuale delle cose, stigmatizzata ogni forma d’indifferenza, perseguendo quel principio della volontà, come cardine dell’esistenza.

Brava Stefania, penso allora con un ghigno di tristezza, l’indignazione e l’intransigenza rivelano una grande onestà intellettuale, per non parlare poi di quella penna soave, una grazia che in certi passaggi trovo persino geniale, da lettrice accanita ne rivendico immodestamente la sua genesi.

Ma poi, ho difficoltà a comprendere cosa mi sia rimasto di quella Stefania, ora che l’ombra della depressione ha tolto la luce alle cose, che ne ha spento ogni entusiasmo, perché una volta che è entrata dentro di te, ti lascia una ferita così profonda, che non resta che una cicatrice spessa nello spirito, così spessa da rivelarsi la più impenetrabile delle corazze. Resisti all’urto delle cose, siano esse positive o negative, ma alla fine, forse era meglio lasciarsi invadere. Credo che dalla depressione non si guarisca mai veramente.

Questo non significa non provare emozioni, arrivano quel tanto giusto da farti apparire una persona normale, ma poi si fermano e non penetrano, non ti scuotono. Guardi gli altri con attenzioni utilitaristiche, non c’è fiducia, né altruismo, puro senso del dovere, puro moto di giustizia. C’è l’idea che tanto poi le tue cose te le dovrai sbrigare da te e la vita è un fardello fatto di sacrificio e fatica.

Sono così insofferente e burbera, non ho compassione né pena per nessuno ormai, sono così detestabile nella mia fermezza, sono come queste mie gambe che più sono deboli e più s’irrigidiscono. È difficile rappacificarsi con l’altro, mentre questo tenta di annientarti. Non ho più voglia di ascoltare consigli con la lama puntata alle giugulari, suggerimenti con la canna volta alla tua persona, e braccia che s’allungano per spingerti giù, più che per aiutarti. Sono molto stanca.

Mi piace di più la vecchia Stefania sì, che piegava la sorte e ingannava il presente. Mi resta oggi una voce strozzata, in fondo alla gola, un nodo, un pugno di propositi troppo radicati alla terra, eppure sapevo gridare così forte, che ancora ne sento l’eco, un volo di albatros, storni neri a cercare primavere lontane. “È caduta troppo neve”, ahimè, scrivo in una poesia, ed oggi un muto paesaggio accompagna la consuetudine. Devo romperla questa consuetudine. S.C.

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  1. Posted by Paolo

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