Suggestioni per la riflessione (4)

Note personali: non si può comprendere il mio interesse ed approfondimento su alcuni temi tipici della medicina, della malattia, del dolore, in una chiave di lettura umanistica, letteraria, filosofica e politologica, se non impariamo a guardare il mondo attraverso la lente dell’analisi critica. Quello che io faccio, esaminando tali questioni, è porre nuove suggestioni di riflessione. A partire dalle mie intuizioni, ricostruisco traiettorie speculative grazie allo studio personale di una vasta pubblicistica che apre interessanti opportunità di dialogo multidisciplinare, cosa che appartiene alla mia formazione. S.C.

La sofferenza è prodotta e alleviata dal significato che un individuo attribuisce alla sua esperienza. Il meccanismo umano fondamentale per attribuire significato a particolari esperienze è quello di raccontare una storia.

Howard Brody

La crisi dell’approccio biomedico alla malattia

e la nascita della medicina centrata sul paziente

[Parte Prima]

Un po’ di storia

La medicina occidentale è una scienza antica, che secondo alcuni risale addirittura a un’epoca antecedente a quella di Ippocrate, considerato comunemente il suo fondatore ufficiale (Parodi 2002). La medicina ippocratica nasce nel V secolo a.C. come pratica terapeutica fortemente individualizzata, che richiede un rapporto interpersonale intenso e globale e dove l’esplorazione della malattia avviene nei suoi diversi aspetti, non soltanto somatici, ma anche psicologici e ambientali. La pratica medica ippocratica è dunque legata indissolubilmente all’esperienza e alla situazione del singolo malato, che il medico deve saper comprendere nella sua unicità, interezza e complessità.

Nel corso del tempo, tuttavia, la medicina ha progressivamente perso questa sua costitutiva vocazione all’approccio olistico al malato, riducendo il suo intervento alla sola conoscenza della malattia, concepita come entità biologica (da cui il termine “riduzionismo” spesso associato alla medicina contemporanea). Ci sono una serie di tappe che hanno portato la medicina a questa concezione riduzionistica della malattia – alle quali, per ovvii motivi, non possiamo che fare un rapido accenno –, prima fra tutte la suddivisione netta proposta da Cartesio tra anima e corpo e la concezione meccanicistica di quest’ultimo. Come tutta la natura è riconducibile a una serie di parti di cui, attraverso le leggi della fisica, è possibile studiare e conoscere il movimento, così anche il corpo umano può essere considerato alla stregua di una macchina.

Certo, l’affermarsi del metodo scientifico, così come formulato da Galileo e Cartesio, ha portato, anche in campo medico, alla liberazione della medicina dalla pura pratica speculativa che l’aveva pesantemente caratterizzata nell’era medioevale e al ritorno all’esperienza, cioè alla nascita della cosiddetta “medicina d’osservazione”. Grazie alle attività osservative, a partire dal XVII secolo comincia a farsi strada un concetto di malattia come entità che si produce in diversi soggetti in modo uniforme e costante, al di là delle differenze tra i diversi individui. La malattia, nella medicina d’osservazione, diviene quindi “cosa in sé”, indipendente dalla variabilità individuale e unico oggetto d’interesse del buon medico. A partire poi dal Settecento, e sempre con maggior forza nell’Ottocento, grazie agli sviluppi della batteriologia, si comincia a concepire la malattia come risultato di uno specifico agente o di uno specifico processo.

Ma è con Claude Bernard e la sua Introduzione allo studio della medicina sperimentale (1865) che viene ufficialmente sancita la nascita della medicina come scienza. Il laboratorio in questa fase viene a sostituire l’aula e persino la clinica, come centro di produzione delle conoscenze mediche. “I fenomeni biologici per Bernard ‘obbediscono’ alle leggi della fisica e della chimica, e per questo possono essere studiati scientificamente, formulando ipotesi sulla base delle osservazioni e mettendole alla prova con esperimenti, nella certezza che, se l’esperimento è condotto correttamente, il risultato è affidabile” (Parodi, 2002. P. 137).

Nel Novecento la medicina esce dai laboratori per studiare le popolazioni, continuando però a utilizzare il disegno sperimentale di ricerca per produrre conoscenza. “Il disegno sperimentale costituisce un nodo metodologico oggi irrinunciabile della medicina: in particolare, la dimostrazione di efficacia di un trattamento, qualsiasi esso sia, non passa più attraverso l’esperienza del singolo […], ma deve fondarsi su prove scientifiche: una medicina fondata sulla sperimentazione controlla il soggettivismo di chi è trattato e di chi cura, mentre la ripetibilità degli esperimenti fornisce una totale garanzia dell’affidabilità dei trattamenti testati” (Moja, Vegni, 2000, p- 19).

Questi superficiali cenni di storia della medicina ci permettono forse di intuire che cosa sta alla base della corrente pratica medica, ossia il modello biomedico, o tradizionale, di malattia. Secondo tale modello, “le malattie sono entità biologiche o psicofisiologiche universali, imputabili a lesioni o a disfunzioni psicosomatiche. Queste malattie producono dei segni, o anormalità fisiologiche, quantificabili con le procedure cliniche o di laboratorio, e che producono dei sintomi, o espressioni dell’esperienza di disagio, comunicati con un insieme preciso di disturbi” (Good, 1994, p. 14).

[Continua]

Lucia Zannini (docente di Pedagogia presso la facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università degli studi di Milano. si occupa di formazione dei professionisti che operano in contesti sanitari e degli aspetti educativi della relazione terapeutica), Medical humanities e medicina narrativa, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008, pagg. 37-39.

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